Il mio dentro non corrisponde al mio fuori. [Molto forte, incredibilmente vicino.]

Ho aspettato tanto per poterlo leggere.

Avevo paura di quello che avrei potuto trovarci. E in realtà ci ho trovato più di quello che pensavo, ma anche meno di quello che avrei

Ho aspettato tanto per poterlo leggere.

Avevo paura di quello che avrei potuto trovarci. E in realtà ci ho trovato più di quello che pensavo, ma anche meno di quello che avrei immaginato.

Perché non è la storia di quello che è accaduto sulle Torri, è la storia di chi è sopravvissuto alle Torri, delle famiglie, delle vite che non sono state più le stesse. E probabilmente non lo saranno mai.

Tutto passa attraverso gli occhi di Oskar Schell, bambino autistico (o almeno credo) con difficoltà a relazionarsi col mondo esterno. Oskar, con un papà che cerca di aiutarlo a superarle,con un papà che è nelle Torri in quell’11 settembre. Un papà che muore in quelle Torri. E lascia Oskar e la sua mamma a fare i conti con la sua perdita, e con tutto quello che vuol dire.

Le grandi tragedie fanno sempre perdere il senso della piccolezza, come se fosse tutto troppo per poter pensare a ogni singola vita spezzata, a ogni famiglia che ha dovuto affrontare la perdita senza mai dover saper il perché.

Nessuna perdita ha un perché, ma la perdita dovuta a qualcosa di “stupido” come una dimostrazione di forza o un atto di terrorismo, come si affronta?

Come fa Oskar, forse.

Cercando un modo per non pensarci, e finendo a pensarci ancora di più. Cercando di non parlarne, e finendo a parlare di tutto quello che si è creduto di poter chiudere in qualche posto.

4 stelle.

A New York un ragazzino riceve dal padre un messaggio rassicurante sul cellulare: “C’è qualche problema qui nelle Torri Gemelle, ma è tutto sotto controllo”. È l’11 settembre 2001. Tra le cose del padre scomparso il ragazzo trova una busta col nome Black e una chiave: a questi due elementi si aggrappa per riallacciare il rapporto troncato e per compensare un vuoto affettivo che neppure la madre riesce a colmare. Inizia un viaggio nella città alla ricerca del misterioso signor Black: un itinerario ricco di incontri che lo porterà a dare finalmente risposta all’enigmatico ritrovamento e ai propri dubbi. E sarà soprattutto l’incontro col nonno a fargli ritrovare un mondo di affetti e a riaprirlo alla vita.


Titolo: Molto forte, incredibilmente vicino.

Autore: Jonathan Safran Foer

Traduttore: Massimo Bocchiola

Edizione: Guanda, Kindle Edition, Maggio 2013

E a metà pomeriggio era di nuovo sopraffatto dal desiderio di essere altrove, di essere un altro, di essere un altro altrove. [Ogni cosa è illuminata]

Ci ho messo un’eternità, almeno secondo i miei standard.

Ma questo libro non è per niente semplice da leggere. Nasconde, sotto una patina scherzosa, simpatica e le sgrammaticature di Sasha, un’amarezza e una tristezza di fondo.

Che si impossessa di te, man mano che vai avanti nella lettura. Che ti riempie gli spazi vuoti della tua di tristezza, che attraversa ogni singola lettera di ogni pagina, perché sai che non finirà bene. E la parte peggiore è che sai esattamente come finirà.

Inconsciamente, o consciamente, ho cercato di ritardare quella fine, quello sviluppo, quel nodo.

Forse influenzata dal periodo, forse semplicemente in fase di rallentamento lettura.

Safran Foer affronta un tema “trito e ritrito” in un modo nuovo. Lo fa suo, ne fa una biografia, e diventa un romanzo, una storia, che ti entra dentro. Una storia che è triste, ma che è anche una storia d’amore. Un amore e tanti amori un po’ sui generis, diversi da tutto ciò a cui i romanzi ci hanno abituato.

Una storia che non riesci a lasciare andare.

Non riesco a esser coerente nel raccontare questo libro e le mie sensazioni. Forse sono state troppe. Forse è stata una sola a cui non so dare un nome.

Con una vecchia fotografia in mano, un giovane studente ebreo americano intraprende un viaggio in Ucraina alla ricerca della donna che (forse) ha salvato suo nonno dai nazisti. Ad accompagnarlo sono il coetaneo Alex, della locale agenzia «Viaggi Tradizione», suo nonno – affetto da una cecità psicosomatica ma sempre al volante della loro auto – e un cane puzzolente. Il racconto esilarante, ma a tratti anche straziato, del loro itinerario si alterna a una vera e propria saga ebraica, che ripercorre la storia favolosa di un villaggio ucraino del Settecento fino alla distruzione avvenuta a opera dei nazisti. 
Un viaggio immaginoso aggrappato ai fili della memoria, fili impregnati di vita vera, storie d’amore, vicende tragiche e farsesche. Un modo tutto nuovo di rileggere il passato per illuminare il nostro presente.